Il Signore è mio pastore, non manco di nulla; in pascoli di erbe fresche mi fa riposare, ad acque tranquille mi conduce. (Sal 23,1-2)
Nacque nel 1426 a Caccamo; la madre morì nel darlo alla luce e lui venne da una zia. Fin da bambino praticò quell'astinenza non ne accorciò la lunga vita, superò, infatti i 100 anni.
Giunto ai quindici anni, essendosi recato a Palermo, entrò nella Chiesa di Santa Zita, tenuta dai Domenicani, per confessarsi.
Qui incontrò padre Geremia, il quale, scorgendo in quel giovane la divina chiamata, lo invitò ad entrare nell'Ordine.
Giovanni si fece molto onore nello studio e Dio gli fece il dono di saperla esporre con tanta forza da riuscire a convertire i più induriti peccatori. Fondò nel suo paese natale un Convento di cui fu il primo priore.
Compiva con la più grande semplicità i più strepitosi miracoli. Dopo la sua morte, avvenuta il 14 novembre 1511, i ventiquattro ceri accesi intorno al suo cadavere arsero senza consumarsi. Papa Benedetto XIV il 25 aprile 1753 ha confermato il culto. È stato il primo domenicano di Sicilia ad essere iscritto nell'elenco dei Beati. (Avvenire)
Alcuni Miracoli del Beato Giovanni Liccio
Biografia
Giovanni Licci fu discepolo e continuatore di Pietro Geremia nell'opera della restaurazione della vita regolare nei conventi Domenicani di Sicilia.Nacque nel 1426 a Caccamo; la madre morì nel darlo alla luce e lui venne da una zia. Fin da bambino praticò quell'astinenza non ne accorciò la lunga vita, superò, infatti i 100 anni.
Giunto ai quindici anni, essendosi recato a Palermo, entrò nella Chiesa di Santa Zita, tenuta dai Domenicani, per confessarsi.
Qui incontrò padre Geremia, il quale, scorgendo in quel giovane la divina chiamata, lo invitò ad entrare nell'Ordine.
Giovanni si fece molto onore nello studio e Dio gli fece il dono di saperla esporre con tanta forza da riuscire a convertire i più induriti peccatori. Fondò nel suo paese natale un Convento di cui fu il primo priore.
Compiva con la più grande semplicità i più strepitosi miracoli. Dopo la sua morte, avvenuta il 14 novembre 1511, i ventiquattro ceri accesi intorno al suo cadavere arsero senza consumarsi. Papa Benedetto XIV il 25 aprile 1753 ha confermato il culto. È stato il primo domenicano di Sicilia ad essere iscritto nell'elenco dei Beati. (Avvenire)
Alcuni Miracoli del Beato Giovanni Liccio
Le pietre per la Chiesa
Mancava la calce e non si disponeva dei mezzi per far trasportare le pietre occorrenti. Giovanni, alzato lo sguardo al Cielo, ne implorò il soccorso; ed ecco apparire sulla piazza della nuova chiesa un grande carro carico di pietre calcaree e tirato da quattro buoi, guidati da un bellissimo giovane. Questi appena deposto il materiale, disparve unitamente al carro ed agli animali. Con quelle pietre i muratori costruirono presso le fabbriche già iniziate una grande fornace, e vi appiccarono il fuoco; ma sul più bello scaturisce nel mezzo di essa una vena d’acqua che, spento il fuoco, minacciava di mandare tutto in rovina. Accorre Giovanni, chiamato d’urgenza da quegli operai, e con un segno di croce fa ritirare l’acqua sicché tutto ritorna come prima.
Dopo qualche giorno, i muratori si avvidero che per il lavorio del fuoco molte pietre si erano disgregate, tanto che la fornace correva pericolo di ruinare; avvertirono allora di ciò il Padre Giovanni. Siccome era l’ora di pranzare, questi disse loro che ritornassero a casa, che più tardi si sarebbe provveduto a tutto; ma alcuni di essi, desiderosi di assistere a qualcuno dei soliti prodigi, anzichè andar via, si nascosero dietro alcune piante così da poter assistere all’accaduto senza essere visti.
Ed ecco Giovanni appressarsi alla fornace, e, fattosi il segno della croce, entrare tra le fiamme, riordinare le pietre con le mani e con le spalle ed uscire poco dopo illeso come vi era entrato. Avvedendosi poi di essere stato osservato, esortò quei muratori a ringraziare Iddio, ad aver fede e a non dire ad alcuno quanto avevano veduto. Quelli però non seppero frenare la lingua, ed il prodigio, divulgatosi per la città, divenne l’argomento principale di ogni discorso.
Era stato regalato a Giovanni un agnellino bianco e ricciuto, delizia dei suoi buoni frati che lo chiamavano Martino, e lo tenevano a pascolare nella campagna presso la chiesa in costruzione. Una mattina i muratori, approfittando dell’assenza dei frati, uccisero l’agnellino; ne arrostirono e mangiarono le tenere carni, e, perché non rimanesse alcun indizio del reato, gettarono nel fuoco la pelle, le ossa e le interiora del povero animale e ripresero il lavoro. Più tardi ritornò il padre Giovanni, e, non trovato l’agnellino al solito posto, né altrove, domandò dove fosse ai muratori. – Non l’abbiamo veduto – risposero questi. – Ebbene – rispose il santo frate – vedremo se risponderà alla mia voce. In così dire chiamo forte: Martino, vieni qua! Un lungo belato si sprigionò allora dalla fornace; e d’un tratto si vide venir fuori nella sua integrità e nel rigoglio della vita il grazioso agnellino che, avvicinandosi al santo, prese a lambiargli le mani. Dopo ciò Giovanni rimprovero severamente quei furfanti che confusi, avviliti dinanzi a cotanto miracolo, caddero ginocchioni ai piedi di lui, implorando il perdono.
Un operaio, certo Giovanni Marco, lavorava in una cava di pietre per incarico avuto dal Liccio. Accanto a lui trastullava un suo nipotino. Or avvenne che, essendosi questi avvicinato al masso nell’istante medesimo in cui lo zio vibrava il colpo di mazza, gli fu frantumato il capo dal pesante strumento; sicché cadde a terra privo di sensi e immerso in una pozza di sangue. Accorsi sul luogo i parenti del bambino, spaventati per la gravità del male anzicchè ricorrere al medico implorarono l’aiuto di Giovanni, il quale, fasciato il capo col proprio fazzoletto, ordinò che il bambino fosse trasportato a casa e posto a giacere sul letto. Più tardi si recò a visitarlo e gli fece togliere la fasciatura. Il capo non presentava più alcun segno mortale del colpo ricevuto: il bambino era interamente guarito.
Mentre si costruiva la chiesa, un acuto chiodo trapassò, non si sa come, un piede d’uno dei muratori, il quale, non potendo più lavorare, fu costretto ad andarsene a casa. Se ne dispiacque Giovanni e per venire in suo aiuto sputò a terra, mischiò la saliva con la polvere, applicò alla ferita del povero uomo quello strano medicamento. Incredibile a dirsi! Il male scomparve in un istante; e così l’operaio poté far ritorno al suo lavoro.
A metà della costruzione vennero meno i materiali; sicché una sera i muratori si presentarono a Giovanni, dicendo che l’indomani non sarebbero venuti a lavorare. Non si turbò per questo il santo frate; ma rispose agli operai che tornassero all’indomani, poiché non sarebbe mancato nulla loro. La mattina infatti, si vide apparire un bel giovane che guidava un grandissimo carro, tirato da buoi e carico d’ogni sorta di materiali. Deposti i quali, il giovane disparve unitamente al carro, rimanendo i buoi. Questi stessi buoi, condotti da un penitente di Giovanni in contrada Piani in occasione delle feste di Natale, si trovarono d’un tratto nel punto stesso donde erano partiti, cioè, in prossimità del convento, dove si tenevano a pascolare. Si narra come Giovanni al buon uomo che, tutto dispiaciuto, era venuto a dirgli di averli smarriti, avesse risposto sorridendo: Sta tranquillo, che i buoi son qui presso che pascolano; non te lo dicevo io che essi non sarebbero stati con te, essendo di paesi lontani?
Una volta Giovanni nell’attraversare una via della città sentì delle grida provenienti da un misero tugurio. Domandò chi lo abitasse; ed appena ebbe appreso che vi abitava una povera vedova carica di figliuoli andò a trovarla. Uno spettacolo commovente si presentò ai suoi sguardi: otto figlioletti strillavano, chiedendo del pane alla povera vedova madre, mentre questa gridava e dava nelle smanie per non avere quel giorno di che sfamarli. Giovanni la confortò con amorevoli parole, esortandola a soffrire per amor del Signore ed a sperare nella divina provvidenza; e andò via dopo averle dati i pochi soldi che teneva in tasca ed averle detto che venisse al convento nell’ora del desinare, dove avrebbe ricevuto una più larga elemosina. La povera vedova non mancò di presentarsi alla porta del chiostro all’ora stabilita; ma dovette rimanere disillusa quando Giovanni non le diede che un pane di forma rotonda. – O padre Giovanni – disse la donna – che debbo fare con questo solo pane? Esso appena basterà per sfamarci stasera. – Vedrai che non sarà così – riprese il servo di Dio – osserva piuttosto il più assoluto silenzio e ringrazia il Signore che ha avuto pietà di te. La sera la povera vedova mangiò una parte di quel pane coi suoi figliuoli, e serbò il resto in una cassa. Apertala l’indomani, con suo grande stupore trovò il pane tal quale l’aveva ricevuto dal suo benefattore; comprese allora il significato delle parole di lui, e, ringraziato il Signore, non confidò ad alcuno l’avvenuto prodigio. Questo miracolo continuò per otto anni di seguito come scrive il p. Tuso; cessò del tutto quando la vedova, non sapendo resistere alle insistenze delle sue vicine che le domandavano in qual modo lei così povera avesse potuto sostentare i figliuoli, svelo loro il segreto.
Finita la chiesa, un giorno Giovanni convocò il popolo sulla piazza della chiesa; e, dopo aver dimostrato com’esso, per il passato, anzicchè Dio avesse servito il demonio, che, resosi padrone delle anime e di tutta quanta la città, aveva preso stanza nel vicino boschetto, indusse gli astanti a pentirsi delle loro colpe ed a fare fermo proponimento di non offendere più il Signore; ciò che fecero tutti a voce unanime. Allora Giovanni evocò i demoni. Comparvero essi sotto forma di corvi innumerevoli, gracchiando e agitando fortemente le ali nere. La folla a tale apparizione si spaventò molto; ma il santo frate la rassicurò, e, fatta dichiarare dagli stessi demoni la ragione per cui se ne stessero nel prossimo boschetto, impose loro in nome di Dio che abbandonassero la sua città ritornandosene all’inferno. E i demoni disparvero, non senza aver gettato fortissimi urli, lanciato faville, sparso dovunque un acre odore di zolfo.
Mancava la calce e non si disponeva dei mezzi per far trasportare le pietre occorrenti. Giovanni, alzato lo sguardo al Cielo, ne implorò il soccorso; ed ecco apparire sulla piazza della nuova chiesa un grande carro carico di pietre calcaree e tirato da quattro buoi, guidati da un bellissimo giovane. Questi appena deposto il materiale, disparve unitamente al carro ed agli animali. Con quelle pietre i muratori costruirono presso le fabbriche già iniziate una grande fornace, e vi appiccarono il fuoco; ma sul più bello scaturisce nel mezzo di essa una vena d’acqua che, spento il fuoco, minacciava di mandare tutto in rovina. Accorre Giovanni, chiamato d’urgenza da quegli operai, e con un segno di croce fa ritirare l’acqua sicché tutto ritorna come prima.
Dopo qualche giorno, i muratori si avvidero che per il lavorio del fuoco molte pietre si erano disgregate, tanto che la fornace correva pericolo di ruinare; avvertirono allora di ciò il Padre Giovanni. Siccome era l’ora di pranzare, questi disse loro che ritornassero a casa, che più tardi si sarebbe provveduto a tutto; ma alcuni di essi, desiderosi di assistere a qualcuno dei soliti prodigi, anzichè andar via, si nascosero dietro alcune piante così da poter assistere all’accaduto senza essere visti.
Ed ecco Giovanni appressarsi alla fornace, e, fattosi il segno della croce, entrare tra le fiamme, riordinare le pietre con le mani e con le spalle ed uscire poco dopo illeso come vi era entrato. Avvedendosi poi di essere stato osservato, esortò quei muratori a ringraziare Iddio, ad aver fede e a non dire ad alcuno quanto avevano veduto. Quelli però non seppero frenare la lingua, ed il prodigio, divulgatosi per la città, divenne l’argomento principale di ogni discorso.
Era stato regalato a Giovanni un agnellino bianco e ricciuto, delizia dei suoi buoni frati che lo chiamavano Martino, e lo tenevano a pascolare nella campagna presso la chiesa in costruzione. Una mattina i muratori, approfittando dell’assenza dei frati, uccisero l’agnellino; ne arrostirono e mangiarono le tenere carni, e, perché non rimanesse alcun indizio del reato, gettarono nel fuoco la pelle, le ossa e le interiora del povero animale e ripresero il lavoro. Più tardi ritornò il padre Giovanni, e, non trovato l’agnellino al solito posto, né altrove, domandò dove fosse ai muratori. – Non l’abbiamo veduto – risposero questi. – Ebbene – rispose il santo frate – vedremo se risponderà alla mia voce. In così dire chiamo forte: Martino, vieni qua! Un lungo belato si sprigionò allora dalla fornace; e d’un tratto si vide venir fuori nella sua integrità e nel rigoglio della vita il grazioso agnellino che, avvicinandosi al santo, prese a lambiargli le mani. Dopo ciò Giovanni rimprovero severamente quei furfanti che confusi, avviliti dinanzi a cotanto miracolo, caddero ginocchioni ai piedi di lui, implorando il perdono.
Un operaio, certo Giovanni Marco, lavorava in una cava di pietre per incarico avuto dal Liccio. Accanto a lui trastullava un suo nipotino. Or avvenne che, essendosi questi avvicinato al masso nell’istante medesimo in cui lo zio vibrava il colpo di mazza, gli fu frantumato il capo dal pesante strumento; sicché cadde a terra privo di sensi e immerso in una pozza di sangue. Accorsi sul luogo i parenti del bambino, spaventati per la gravità del male anzicchè ricorrere al medico implorarono l’aiuto di Giovanni, il quale, fasciato il capo col proprio fazzoletto, ordinò che il bambino fosse trasportato a casa e posto a giacere sul letto. Più tardi si recò a visitarlo e gli fece togliere la fasciatura. Il capo non presentava più alcun segno mortale del colpo ricevuto: il bambino era interamente guarito.
Mentre si costruiva la chiesa, un acuto chiodo trapassò, non si sa come, un piede d’uno dei muratori, il quale, non potendo più lavorare, fu costretto ad andarsene a casa. Se ne dispiacque Giovanni e per venire in suo aiuto sputò a terra, mischiò la saliva con la polvere, applicò alla ferita del povero uomo quello strano medicamento. Incredibile a dirsi! Il male scomparve in un istante; e così l’operaio poté far ritorno al suo lavoro.
A metà della costruzione vennero meno i materiali; sicché una sera i muratori si presentarono a Giovanni, dicendo che l’indomani non sarebbero venuti a lavorare. Non si turbò per questo il santo frate; ma rispose agli operai che tornassero all’indomani, poiché non sarebbe mancato nulla loro. La mattina infatti, si vide apparire un bel giovane che guidava un grandissimo carro, tirato da buoi e carico d’ogni sorta di materiali. Deposti i quali, il giovane disparve unitamente al carro, rimanendo i buoi. Questi stessi buoi, condotti da un penitente di Giovanni in contrada Piani in occasione delle feste di Natale, si trovarono d’un tratto nel punto stesso donde erano partiti, cioè, in prossimità del convento, dove si tenevano a pascolare. Si narra come Giovanni al buon uomo che, tutto dispiaciuto, era venuto a dirgli di averli smarriti, avesse risposto sorridendo: Sta tranquillo, che i buoi son qui presso che pascolano; non te lo dicevo io che essi non sarebbero stati con te, essendo di paesi lontani?
Una volta Giovanni nell’attraversare una via della città sentì delle grida provenienti da un misero tugurio. Domandò chi lo abitasse; ed appena ebbe appreso che vi abitava una povera vedova carica di figliuoli andò a trovarla. Uno spettacolo commovente si presentò ai suoi sguardi: otto figlioletti strillavano, chiedendo del pane alla povera vedova madre, mentre questa gridava e dava nelle smanie per non avere quel giorno di che sfamarli. Giovanni la confortò con amorevoli parole, esortandola a soffrire per amor del Signore ed a sperare nella divina provvidenza; e andò via dopo averle dati i pochi soldi che teneva in tasca ed averle detto che venisse al convento nell’ora del desinare, dove avrebbe ricevuto una più larga elemosina. La povera vedova non mancò di presentarsi alla porta del chiostro all’ora stabilita; ma dovette rimanere disillusa quando Giovanni non le diede che un pane di forma rotonda. – O padre Giovanni – disse la donna – che debbo fare con questo solo pane? Esso appena basterà per sfamarci stasera. – Vedrai che non sarà così – riprese il servo di Dio – osserva piuttosto il più assoluto silenzio e ringrazia il Signore che ha avuto pietà di te. La sera la povera vedova mangiò una parte di quel pane coi suoi figliuoli, e serbò il resto in una cassa. Apertala l’indomani, con suo grande stupore trovò il pane tal quale l’aveva ricevuto dal suo benefattore; comprese allora il significato delle parole di lui, e, ringraziato il Signore, non confidò ad alcuno l’avvenuto prodigio. Questo miracolo continuò per otto anni di seguito come scrive il p. Tuso; cessò del tutto quando la vedova, non sapendo resistere alle insistenze delle sue vicine che le domandavano in qual modo lei così povera avesse potuto sostentare i figliuoli, svelo loro il segreto.
Finita la chiesa, un giorno Giovanni convocò il popolo sulla piazza della chiesa; e, dopo aver dimostrato com’esso, per il passato, anzicchè Dio avesse servito il demonio, che, resosi padrone delle anime e di tutta quanta la città, aveva preso stanza nel vicino boschetto, indusse gli astanti a pentirsi delle loro colpe ed a fare fermo proponimento di non offendere più il Signore; ciò che fecero tutti a voce unanime. Allora Giovanni evocò i demoni. Comparvero essi sotto forma di corvi innumerevoli, gracchiando e agitando fortemente le ali nere. La folla a tale apparizione si spaventò molto; ma il santo frate la rassicurò, e, fatta dichiarare dagli stessi demoni la ragione per cui se ne stessero nel prossimo boschetto, impose loro in nome di Dio che abbandonassero la sua città ritornandosene all’inferno. E i demoni disparvero, non senza aver gettato fortissimi urli, lanciato faville, sparso dovunque un acre odore di zolfo.
Triduo al Beato Giovanni Liccio
- O Beato Giovanni, Tu che ricevesti nel Battesimo un nome tanto significativo per la grazia che ti prevenne e ti assistette sempre nel corso della tua lunga vita laboriosa a santificazione delle anime; deh! ottienici, col tuo potente patrocinio, la grazia di essere preservati dal peccato mortale, o di riacquistare subito l’amicizia di Dio, se perduta, mercé il sacramento salutare della penitenza, di cui fosti sulla terra un assiduo e zelante ministro a salvezza delle anime e alla maggior gloria di Dio. Così sia. Tre Pater, Ave e Gloria.
- O Beato Giovanni, Tu che fosti in modo speciale illuminato dalla fede, infiammato di zelo sovrumano nella abnegazione di te stesso e nella carità senza limiti verso i poveri e bisognosi, illuminandoli con la luce della tua infuocata predicazione evangelica, e confortandoli coi savi consigli e con soccorsi insperati e prodigiosi; deh! ora che sei immerso nell’oceano della luce divina e nella gloria dei Beati, ottienici che anche noi, sul tuo esempio e colla tua protezione, non ci allontaniamo mai dai dettami della fede, della speranza e della carità, ma rinnegando a noi stessi e agli affetti meschini della terra, viviamo nella carità fraterna che ci rende tutti figli di Dio, partecipi coi nostri simili del pane materiale necessario in questa vita e del pane celeste, che ci associa agli Angeli nella vita della grazia e della gloria. Così sia. Tre Pater, Ave e Gloria.
- O Beato Giovanni, Tu che durante la tua vita longeva sulla terra, amando sopra ogni cosa la Patria celeste, non disprezzasti, ma amasti altresì con affetto santo la patria terrena, decorandola di sante istituzioni e di un convento e di una chiusa del tuo Ordine, affinché i tuoi seguaci proseguissero, attraverso i secoli, la missione di restaurazione morale del popolo, additandogli la tua gloria, come incitamento al bene e alla virtù, deh! ora, dalla Patria celeste, ove eserciti presso Dio, coi tuoi meriti, il patronato della patria terrena, fai discendere su di essa e su ciascuno di noi l’abbondanza delle divine benedizioni, per lodarti e benedirti ogni momento col Padre, e il Figliuolo e lo Spirito Santo. Così sia. Tre Pater, Ave e Gloria.
Supplica al Beato Giovanni Liccio
Nella estrema necessità in cui ci troviamo, o Beato Giovanni, ricorriamo fiduciosi a Te, supplicandoti di ascoltarci e impetrarci da Dio la grazia che imploriamo. (si chiede mentalmente la grazia).
Sì, noi lo confessiamo sinceramente, o Beato Giovanni; le nostre colpe, le nostre infedeltà, le nostre inosservanze dei comandanti divini sono molte, e ci rendono immeritevoli degli sguardi benigni e misericordiosi di Dio; ma Tu che fosti l’amico prediletto e devoto della Immacolata Madre di Dio, Maria, e che appunto per questo osti da Lei ispirato a compiere opere meravigliose di conversione di peccatori e di bene per l’umanità sofferente, ottenendo prodigi in favore di tutti, deh! ora che godi la visione beatificata di Dio, sotto il manto di quella Vergine gloriosa, del cui S. Rosario fosti in terra strenuo propagatore in tutta Italia, rannodando molte anime alla corona benedetta, per cui Ella si sentì tanto onorata e lodata dai popoli, non tardare a intercedere per noi presso una tanto gloriosa Regina.
Sì, caro nostro santo Patrono, non ci lasciare delusi nella nostra umile supplica, e fa in modo che la fiducia riposta nel tuo patrocinio si accresca sempre più in noi, che, rimanendo consolati dalla grazia sospirata, possiamo vederti poi più glorificato sulla terra per la maggiore gloria di Dio. Così sia.
V/. Ora pro nobis Beate Joannes.
R/. Ut digni efficiamur promissionibus Christi.
Oremus
Deus, qui beatum Joannem, Confessorem tuum, plena sui abnegatione atque eximiae caritatis zelo clarescere voluisti: eius nobis imitatione concede ut abdicatis terrenis affectibus, in tua dilectione vivamus. Per Christum Dominum nostrum. Amen.
Preghiere al Beato Giovanni Liccio
Sì, noi lo confessiamo sinceramente, o Beato Giovanni; le nostre colpe, le nostre infedeltà, le nostre inosservanze dei comandanti divini sono molte, e ci rendono immeritevoli degli sguardi benigni e misericordiosi di Dio; ma Tu che fosti l’amico prediletto e devoto della Immacolata Madre di Dio, Maria, e che appunto per questo osti da Lei ispirato a compiere opere meravigliose di conversione di peccatori e di bene per l’umanità sofferente, ottenendo prodigi in favore di tutti, deh! ora che godi la visione beatificata di Dio, sotto il manto di quella Vergine gloriosa, del cui S. Rosario fosti in terra strenuo propagatore in tutta Italia, rannodando molte anime alla corona benedetta, per cui Ella si sentì tanto onorata e lodata dai popoli, non tardare a intercedere per noi presso una tanto gloriosa Regina.
Sì, caro nostro santo Patrono, non ci lasciare delusi nella nostra umile supplica, e fa in modo che la fiducia riposta nel tuo patrocinio si accresca sempre più in noi, che, rimanendo consolati dalla grazia sospirata, possiamo vederti poi più glorificato sulla terra per la maggiore gloria di Dio. Così sia.
V/. Ora pro nobis Beate Joannes.
R/. Ut digni efficiamur promissionibus Christi.
Oremus
Deus, qui beatum Joannem, Confessorem tuum, plena sui abnegatione atque eximiae caritatis zelo clarescere voluisti: eius nobis imitatione concede ut abdicatis terrenis affectibus, in tua dilectione vivamus. Per Christum Dominum nostrum. Amen.
Preghiere al Beato Giovanni Liccio
O Dio, fonte di ogni bene, datore di ogni dono perfetto, Padre di bontà, fuoco di carità, tu hai reso il Beato Giovanni pienamente partecipe della missione del tuo Figlio Gesù nell’annunciare il Vangelo, nel guarire gli ammalati, nel consolare gli afflitti, predicando a tutti la tua misericordia e il tuo perdono.
Ti ringraziamo per averci donato il Beato Giovanni nostro concittadino e protettore, dato a noi come modello di vita cristiana, perché sul suo esempio anche noi possiamo essere veri seguaci di Gesù Cristo: testimoni di fede e di speranza, carità e di giustizia.
O Beato Giovanni: in te i nostri padri hanno sperato, alla tua intercessione hanno affidato la loro vita, il loro destino, la loro salvezza eterna.
Rinnova in questo cammino di fede e di devozione, in preparazione al centenario i segni della tua predilezione, soprattutto la promessa che hai fatto prima di morire di non dimenticarti mai della città di Caccamo e di tutti i suoi figli.
Prega per noi o Beato Giovanni: per le nostre famiglie, i nostri figli, i nostri genitori, i nostri morti; benedici il lavoro delle nostre mani, le nostre intenzioni, di bene e il desiderio di essere testimoni sempre e dovunque di Gesù Cristo.Intercedi ancora per quanti da ogni parte della Sicilia, d’Italia e del mondo intero si rivolgono a te per diventare coerenti costruttori di pace, di vero e autentico progresso.
Ci sostenga sempre la Vergine Maria nel cammino verso la vera patria dove con te, o Beato Giovanni, staremi sempre a contemplare la Santissima Trinità: Padre, Figlio e Spirito Santo a cui sia lode e gloria nei secoli dei secoli. Amen.
Ti ringraziamo per averci donato il Beato Giovanni nostro concittadino e protettore, dato a noi come modello di vita cristiana, perché sul suo esempio anche noi possiamo essere veri seguaci di Gesù Cristo: testimoni di fede e di speranza, carità e di giustizia.
O Beato Giovanni: in te i nostri padri hanno sperato, alla tua intercessione hanno affidato la loro vita, il loro destino, la loro salvezza eterna.
Rinnova in questo cammino di fede e di devozione, in preparazione al centenario i segni della tua predilezione, soprattutto la promessa che hai fatto prima di morire di non dimenticarti mai della città di Caccamo e di tutti i suoi figli.
Prega per noi o Beato Giovanni: per le nostre famiglie, i nostri figli, i nostri genitori, i nostri morti; benedici il lavoro delle nostre mani, le nostre intenzioni, di bene e il desiderio di essere testimoni sempre e dovunque di Gesù Cristo.Intercedi ancora per quanti da ogni parte della Sicilia, d’Italia e del mondo intero si rivolgono a te per diventare coerenti costruttori di pace, di vero e autentico progresso.
Ci sostenga sempre la Vergine Maria nel cammino verso la vera patria dove con te, o Beato Giovanni, staremi sempre a contemplare la Santissima Trinità: Padre, Figlio e Spirito Santo a cui sia lode e gloria nei secoli dei secoli. Amen.